sabato 13 febbraio 2016

Intervista a Cristiano Zanardi: “Vi racconto la storia nera di Reneuzzi”

Intervista a Cristiano Zanardi: “Vi racconto la storia nera di Reneuzzi”
 

 
Era il 1961 quando a Reneuzzi, un piccolo paese di montagna situato nella Valle dei Campassi, si verificò un terribile fatto di cronaca. Davide Bellomo, l’ultimo abitante di quel paesino diventato ormai troppo antico per la vita moderna (soprattutto dopo il boom economico del 1960), uccise la cugina Maria Franco di cui era innamorato. Un gesto disperato, nato da una storia d’amore impossibile. Una colpa insormontabile che Davide Bellome mise a tacere sparandosi con la stessa pistola con cui giustiziò la ragazza.
Finiva lì la storia di Reneuzzi che veniva definitivamente abbandonata, trasformandosi in quel paese fantasma che ancora oggi, grazie anche a questa storia nera, rimane ricco di suggestioni e misteri. Ed è proprio su questa vicenda che Cristiano Zanardi, scrittore ed escursionista appassionato, ha scritto Il Paese Silenzioso un bellissimo romanzo che ci fa rivivere le antiche tradizioni e atmosfere di un tempo. Tra gioie e dolori, momenti felici e sogni infranti, nelle sue pagine ripercorriamo la storia di Davide e Maria, quell’amore che faceva troppo rumore prima di lasciare un eterno silenzio.

Come e perché è nata l’idea di scrivere questo romanzo su Reneuzzi?
Diciamo che fondamentalmente sono una persona molto curiosa, oltre che amante della montagna. Quindi scoprire l’esistenza di questa storia, peraltro accaduta a pochi passi dalle mie zone, mi ha spinto a documentarmi e poi a rielaborarla sulla base delle versioni che ritenevo più attendibili, in modo da creare un libro su un argomento, a mio modo di vedere, molto interessante.

 
In passato avevi scritto anche altri libri sui paesi fantasma della Valle dei Campassi. Cosa ti affascina di più di queste zone?
La valle dei Campassi sembra un angolo di mondo antico. Qui è rimasto tutto come un tempo ed è la natura a farla da padrona incontrastata: non ci sono strade, non c’è energia elettrica, non c’è acqua corrente se non quella del rio dei Campassi, che scorre sul fondovalle. Però ci sono i resti di tre villaggi. Qui non è arrivato il progresso e in un certo senso viene naturale, visitandola, immaginare la vita di una volta: è innegabile che visitarla diverse volte sia stata una notevole fonte di ispirazione per il mio lavoro.
Per scrivere il libro hai raccolto molte testimonianze. Com’è avvenuto il tuo percorso di ricerca?
Ho cercato di selezionare le versioni della storia che ho ricevuto attraverso le testimonianze. Ho indagato, chiesto informazioni a persone del posto, a conoscenti, consultato i pochi rimasugli di cronache dell’epoca, libri sull’argomento. Poi sono stato personalmente a Reneuzzi, più e più volte, scoprendo ogni volta un dettaglio nuovo, un angolo nascosto, un particolare che mi era sfuggito. Così facendo ho potuto aggiungere alla versione che avevo scelto come quella più attendibile, alcune vicende romanzate che ho cercato di “cucire” in un certo senso addosso alla realtà del luogo. Non è stato semplice, ma posso dire di essere soddisfatto del lavoro che ho fatto. E pare che abbiano apprezzato anche i giurati del premio letterario “Parole di terra”, che hanno giudicato la mia opera meritevole di segnalazione.
A Reneuzzi ci si arriva attraverso un paio di sentieri. Per chi ama l’escursionismo come te, ce li potresti descrivere?
Si tratta, a mio modo di vedere, di due percorsi affascinanti. In realtà, il sentiero è sempre lo stesso (242 bianco-rosso) ma cambia il punto di partenza (Vegni, oppure Croso): si tratta, in entrambi i casi, di luoghi di non semplice accesso, raggiungibili con strade strette e tortuose dell’alta val Borbera. Il sentiero con partenza da Vegni, quello “classico”, permette di visitare la Sella dei Campassi e gli altri due borghi fantasma della valle, Casoni e Ferrazza: è piuttosto lungo, ma non presenta particolari dislivelli. Partendo invece da Croso, percorso più breve, si può scendere fino al greto del rio dei Campassi e visitare i due mulini di cui si parla nel libro – Mulino dei Gatti e Mulino Gelato – per poi risalire, con una stretta salita a tornanti, fino a Reneuzzi. Ovviamente l’itinerario, con un po’ più di tempo a disposizione, può essere percorso per intero (Vegni-Croso, o viceversa). Non consiglio il sentiero 243, che collega Reneuzzi alla Sella Banchiera, in quanto non adeguatamente mantenuto in ordine.
So che sei tornato più volte, e ogni volta hai trovato qualcosa di nuovo. Come cambia il percorso e l’esplorazione tra primavera/estate e autunno/inverno? Quando secondo te è meglio andarci per chi è rimasto incuriosito dal tuo romanzo? (ad esempio, la vegetazione, il panorama, la difficoltà del sentiero,…).
In estate Reneuzzi quasi non esiste più: una marea di ortiche, spine ed erbacce ricopre il paese rendendolo non adatto a una visita proficua. Consiglio di visitarlo in autunno inoltrato, inverno o all’inizio della primavera: la scarsa vegetazione permetterà di riscoprire la conformazione originaria del paese, apprezzarne le strade, i vicoli, i sentieri…diciamo che chi ha letto il romanzo, in questo periodo potrà individuare senza fatica molti dei luoghi citati. Raccomando sempre molta attenzione, perché è elevato il rischio di farsi male: i pavimenti sono pericolanti, i soffitti a un passo dal cedimento ed è importante capire fino a che punto ci si può avventurare senza mettere a repentaglio la propria incolumità.
Nel libro la natura è forse il protagonista principale della storia. Come descriveresti l’anima di Reneuzzi? Che sensazioni hai provato in prima persona quando ci sei stato?
La sensazione che si prova a Reneuzzi è quella di essere tornati indietro nel tempo, in un luogo testimone della difficoltà della vita di quegli anni. I terrazzamenti che ancora oggi si possono vedere raccontano meglio di ogni altra immagine la fatica sostenuta dagli abitanti della valle per sfruttare le scomodità della montagna utilizzandole a proprio vantaggio. Ora la natura ha riconquistato lo spazio che l’uomo aveva tentato di sottrarle e quello che rimane agli occhi del visitatore è la forza impressionante con la quale riesce a farlo, sventrando le case e aggrappandosi ai muri per trascinarli a terra in un cumulo di macerie. La natura non dimentica ciò che era suo.
Escursionista amante della scrittura o scrittore amante dell’escursionismo? Alla fine hai sciolto il dubbio? Cosa ti senti maggiormente?
Ho sempre amato scrivere, ultimamente è diventato più di un passatempo. Da quando ho iniziato l’avventura con il sito “A un passo dalla vetta” sono sicuramente maturato e a fronte di un crescente interesse del pubblico di lettori ho anche cambiato i temi affrontati, provando a cimentarmi in un romanzo e, chissà, che non ne possa arrivare presto un altro. Ma nulla mi rende felice come camminare su un sentiero, conoscere nuovi luoghi nascosti, sedermi sulla cima di una delle nostre montagne a godermi il sole o l’aria frizzante. Ho bisogno della montagna. Se mi ci allontano troppo, non riesco ad essere felice. Quindi la soluzione non può che essere una: scrivere di montagna!


Intervista di Giacomo Aricò
Le foto dell’articolo sono di Cristiano Zanardi ©

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